Vai al contenuto

Udinese, la svolta Cioffi fa vincere a Milano

  • 4 min read

di Umberto Sarcinelli

MILANO – Era scritto nel calcolo delle probabilità che l’Udinese dovesse vincere una partita, dopo sette pareggi e tre sconfitte; era una possibilità reale che i bianconeri potessero vincere al Meazza contro il Milan, ma la razionalità, la proprietà transitiva che molti, forse troppi, danno ancora credito al calcio diceva alla vigilia della trasferta di Milano ben altro. Per i più pessimisti, quest’anno la maggioranza, doveva essere sconfitta con goleada, peer i più ottimisti, un pareggio miracoloso.

Nulla di tutto questo si è visto sul prato di San Siro. L’Udinese ha colto la sua prima vittoria in questo campionato in maniera netta, inequivocabile. Il nuovo allenatore Cioffi ha compiuto sostanzialmente un’opera psicologica, sollecitando i giocatori all’autostima e alla coesione del gruppo. La risposta è stata pronta e efficace, ma sfugge un piccolo grande particolare: perché. Gli stessi giocatori con Sottil non hanno mostrato la stessa intensità, la stessa “fame” di risultati, la stessa voglia di stupire. Sottil non ha avuto gli argomenti e le motivazioni di Cioffi? Improvvisamente in due settimane si sono risolti tutti i problemi tattici?  Non è del tutto verosimile, forse la squadra non “digeriva” i metodi dell’ex difensore… Fatto sta che l’Udinese di Milano è apparsa diversa, seppur con gli stessi giocatori. E’ rimasta l’idiosincrasia per il gol, è rimasta la mancanza di una vera punta, è rimasta la forma ancora non ottimale di alcuni giocatori, ma c’è stato un percettibile cambiamento nell’atteggiamento in campo e una perfetta preparazione delle contromisure per mettere in evidenza i punti deboli del Milan.

Cioffi, in questo senso si è dimostrato allenatore di grande intelligenza calcistica e fine stratega, oltre che motivatore.

La mossa tattica più efficace, che però pochi hanno colto, è stata quella di non dare un punto di riferimento in attacco, giocando senza punta, con il solo Success a tener palla e lottare con la difesa a tre rossonera (a proposito, finalmente una partita in cui le due squadre indossano i colori tradizionali dei club). Pereyra, schierato come seconda punta in realtà ha giocato da centrocampista, Samardzic ha arretrato il suo raggio d’azione per coprire e raddoppiare su Leao e Florenzi, Wallace ha agito a pochi metri da Bijol e Payero ha toccato pochi palloni ma si è trovato sempre a oscurare le linee di passaggio avversarie. Il risultato è stato evidente: Embosele e Zamura hanno avuto tempi e spazi per le incursioni, il centrocampo milanista, già privo di registi e costruttori di gioco si è trovato in inferiorità numerica. Il rombo di Pioli è diventato una gabbia e è toccato a Tomori e Chaw impostare la manovra senza averne ne talento ne abitudine. In questo modo il Milan si è scoperto quando l’Udinese ripartiva e i due esterni hanno potuto essere efficaci punte di lancia. Tenendo conto che ogni ripartenza era accompagnata dai centrocampisti, la squadra di Cioffi ha potuto portare nell’area avversaria più giocatori che mai. Mettendo in difficoltà una difesa che non trovava nel centrocampo efficace filtro.

Una mossa semplice, ma geniale. Il gol è arrivato su calcio di rigore, ottenuto da Embosele in una delle sue scorribande sulla fascia. Si è molto discusso sulla massima punizione decretata dall’arbitro Sacchi e confermata dal Var. La moviola elettronica non riesce a far tacere quella degli opinionisti, che  vivono su polemiche e dietrologie e mal sopportano strumenti che non possono controllare e/o dirigere.

I tifosi sono ritornati da Milano entusiasti, come deve essere. L’Udinese non sarà una squadra di campioni, ma non è nemmeno composta da brocchi. Anzi, Cioffi ha dimostrato che la rosa che ha a disposizione è valida, coesa e differenziata per capacità e competenze. Il turno di Coppa Italia, nonostante l’eliminazione ai supplementari, ha confermato la bontà delle scelte della società in fatto di giovani. Nel finale della gara con il Cagliari l’Udinese aveva una media età vicina ai vent’anni. Pafundi, 17 e Pejicic 16, i più giovani. E se l’azzurrino non è una novità assoluta, lo sloveno ha stupito tutti peer maturità di gioco e personalità. E’ un ragazzo da curare e far crescere serenamente, ha tutto peer diventare un campione.

Cliccando qui sopra per inviare questo modulo, sei consapevole e accetti che le informazioni che hai fornito verranno trasferite a AlpeAdriaSport.it per il trattamento conformemente alle loro condizioni d'uso.

Leggi la nostra Informativa sulla privacy per avere maggiori informazioni.

Skip to content